mercoledì 28 maggio 2008
"Io, Serenissimo e mai pentito"
Posted on 3:07 PM by DF
A dieci anni dal clamoroso blitz, parla uno dei responsabili che fu poi coinvolto nell’assalto in piazza San Marco a Venezia
«Io, Serenissimo e mai pentito»
«Io, Serenissimo e mai pentito»
Andrea Viviani: «Le interferenze al Tg1? Allora servivano, ma non lo rifarei» Le incursioni audio al telegiornale per ricordare la fine di Venezia
«Le interferenze sul telegiornale? Non le rifarei ma non sono pentito. Nel marzo del 1997, dovevano essere fatte per celebrare il 200. anniversario della fine della Repubblica Veneta». Andrea Viviani, 36 anni, non molla le sue posizioni politiche-autonomiste a dieci anni di distanza da quelle incursioni televisive, culminate poi il 9 maggio del 1997, con l’assalto in piazza San Marco a Venezia. E anche se è cambiato il metodo, ora non più clandestino e fuorilegge, gli ideali restano. E resta ancora più in vita che mai il Veneto Serenissimo governo di cui l’operaio di Colognola ai Colli fa parte da più di 10 anni anche se ora in qualità di vice presidente e cancelliere. «Ma adesso svolgiamo le nostre attività alla luce del sole: inviamo spesso anche i comunicati stampa ai giornali» afferma Andrea Viviani. Smessi i panni degli indipendentisti clandestini, Viviani e soci hanno intrapreso una nuova strada politica, formando un movimento di liberazione che ha lo stesso nome di quegli anni di fuoco: Veneto Serenissimo governo.
Era domenica 23 marzo 1997 quando Andrea Viviani, insieme ad altri cinque componenti del Veneto Serenissimo governo, tra i quali l’altro veronese Luca Peroni, il lodigiano Luigi Faccia e il padovano Antonio Barison salirono sul monte San Briccio per compiere il primo «attacco» scaligero sulle onde che stavano trasmettendo il Tg 1 delle 20. «Io svolgevo le funzioni di palo, controllavo che non arrivasse nessuno», racconta Andrea Viviani, «mentre chi svolse le interferenze con le antenne sul Tg1 furono Faccia e Barison».
Che atmosfera regnava nel vostro gruppo?
«Eravamo molto soddisfatti, soprattutto, dopo l’incursione al Tg1 del 17 marzo a Venezia. Avevamo tentato più volte senza, però, mai raggiungere lo scopo. Da quel giorno le cose sono cambiate visto anche le clamorose reazioni su giornali e tivù che suscitarono le nostre iniziative».
Qual era lo scopo di quegli atti dimostrativi?
«Volevamo divulgare i nostri ideali in occasione del duecentesimno anniversario della fine della Repubblica Veneta. Volevamo preparare il popolo della nostra regione all’evento del 9 maggio (l’assalto in piazza San Marco ndr).
Non ritiene che fu un gesto troppo grave e inquietante per ricordare quei fatti di duecento anni prima? Avete usato anche un tanko e le armi.
«Le ripeto: non lo rifarei ma non sono pentito. D’altro canto, dovevamo reagire all’ingiustizia subita nel 1866».
A cosa si riferisce?
«Il Veneto in quell’anno è stato occupato militarmente con la forza dello Stato».
Ma ci fu anche un plebiscito che sancì la volontà del popolo veneto ad unirsi all’Italia.
«In quella votazione, chi optava per il no, veniva schedato e, infatti, ci furono solo 69 schede contrarie all’annessione sulle 694mila depositate nelle urne. Si trattò di un plebiscito illegale».
Lei fu arrestato subito dopo l’assalto a San Marco il 9 maggio 1997. Quanto rimase in carcere?
«Restai per due mesi, poi tornai in cella nel marzo del ’99 e ne uscii definitivamente nel settembre di quello stesso anno».
Che ricordo ha del periodo trascorso in carcere?
«Ho letto molto e avevo come compagno di cella il mio amico Luca Peroni con il quale ci siamo sempre trovati bene».
Lei non ritiene di aver rischiato parecchio in quelle azioni indipendentiste?
«Ma c’era qualcuno che dall’alto mi ha sempre protetto».
A chi si riferisce?
«A San Marco, ovviamente».
fonte: "L'Arena" del 26 marzo 2007
Che atmosfera regnava nel vostro gruppo?
«Eravamo molto soddisfatti, soprattutto, dopo l’incursione al Tg1 del 17 marzo a Venezia. Avevamo tentato più volte senza, però, mai raggiungere lo scopo. Da quel giorno le cose sono cambiate visto anche le clamorose reazioni su giornali e tivù che suscitarono le nostre iniziative».
Qual era lo scopo di quegli atti dimostrativi?
«Volevamo divulgare i nostri ideali in occasione del duecentesimno anniversario della fine della Repubblica Veneta. Volevamo preparare il popolo della nostra regione all’evento del 9 maggio (l’assalto in piazza San Marco ndr).
Non ritiene che fu un gesto troppo grave e inquietante per ricordare quei fatti di duecento anni prima? Avete usato anche un tanko e le armi.
«Le ripeto: non lo rifarei ma non sono pentito. D’altro canto, dovevamo reagire all’ingiustizia subita nel 1866».
A cosa si riferisce?
«Il Veneto in quell’anno è stato occupato militarmente con la forza dello Stato».
Ma ci fu anche un plebiscito che sancì la volontà del popolo veneto ad unirsi all’Italia.
«In quella votazione, chi optava per il no, veniva schedato e, infatti, ci furono solo 69 schede contrarie all’annessione sulle 694mila depositate nelle urne. Si trattò di un plebiscito illegale».
Lei fu arrestato subito dopo l’assalto a San Marco il 9 maggio 1997. Quanto rimase in carcere?
«Restai per due mesi, poi tornai in cella nel marzo del ’99 e ne uscii definitivamente nel settembre di quello stesso anno».
Che ricordo ha del periodo trascorso in carcere?
«Ho letto molto e avevo come compagno di cella il mio amico Luca Peroni con il quale ci siamo sempre trovati bene».
Lei non ritiene di aver rischiato parecchio in quelle azioni indipendentiste?
«Ma c’era qualcuno che dall’alto mi ha sempre protetto».
A chi si riferisce?
«A San Marco, ovviamente».
fonte: "L'Arena" del 26 marzo 2007
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