mercoledì 23 luglio 2008

L'ombra massonica dietro il nazionalismo italiano

Posted on 9:22 AM by DF

Dopo la vittoria al mondiale di calcio il rigurgito di nazionalismo italiota ha riportato in auge i relitti dell’educazione civica fascio-risorgimentale: gli ammuffiti tricolori, che da tanti anni giacevano in cassetti dimenticati alla mercè delle camole, sono riapparsi sventolanti e i giovani discotecari del sabato sera hanno imparato persino la prima strofa dell’inno, magari interrogandosi, col contegno ottuso del calciodipendente, su chi fossero “Scipio” e “Ferruccio”! Capisco benissimo come i sentimenti nazionali travalichino gli angusti ambulacri della ragione ma dovremmo tutti essere coscienti del significato dei segni che usiamo e della parole che pronunciamo; è evidente infatti come il verde del tricolore italiota, ben lungi da rappresentare la speranza, sia il colore della massoneria, principale artefice dell’unificazione italiana, e come l’incipit “Fratelli d’Italia” indichi la fratellanza delle logge, in cui era ben addentro il framassone Goffredo Mameli.

D’altra parte è innegabile come il Risorgimento, esportazione dei principi della Rivoluzione francese sul suolo italiano, sia stato principalmente opera della massoneria, chiarendo però come parlare di massoneria al singolare non dia ragione di un fenomeno molto più complesso che vede spesso conflitti tra diverse logge, se non all’interno della stessa loggia; comunque tale opera occulta e sotterranea, svelata negli ultimi anni da studiosi quali la Pellicciari e orgogliosamente ostentata dagli odierni massoni, riguardò sia il piano organizzativo, quale il reperimento di risorse economiche e la cooptazione di uomini, che i principi ideali posti alla base dell’opera di costruzione italiana e di distruzione degli antichi regimi.

In questo ultimo senso è assolutamente necessario rimarcare come la stessa idea moderna di nazione, cioè quello che viene definito nazionalismo, trovò un eccezionale tramite di diffusione e amplificazione in epoca romantica da parte della massoneria: alla base delle rivendicazioni nazionali dei paesi europei, soprattutto contro l’impero asburgico, vi fu un’intesa attività propagandistica delle logge locali; il punto non sta tanto nel determinare quanto legittime fossero tali aspirazioni, questione che andrebbe trattata caso per caso, ma quanto genuine, cioè quanto sentite veramente dal popolo, e soprattutto indagare se la massoneria sostenne con simpatia i nazionalismi oppure se li adoperò per finalità ulteriori. A tal proposito il nazionalismo italiano si configura, dalla genesi fino alla realizzazione delle sue brame, come un adeguato campo di studio dell’operare massonico contro le monarchie dell’Ancient Regime.

La storiografia romantica, diffusa dall’educazione scolastica italiana, ci ha infatti imposto la visione di un’identità italiana che si sviluppa linearmente e senza discontinuità dalla romanità sino ai giorni nostri, trascurando l’importanza del contributo del substrato preromano e addirittura eliminando l’apporto di altri popoli che hanno abitato la penisola, influendo sulla diversa identità dei popoli italiani (come bizantini, arabi, longobardi, normanni, ecc.). In base a questi principi i periodi della storia d’Italia vennero giudicati, e seguitano a venir giudicati, in base al grado d’unità politica della penisola (notevole preconcetto ideologico) e non alla prosperità, all’accordo popolare o ad altri fattori: proprio per questo la storia moderna italiana, cioè quella che segue la rottura della pace di Lodi (1494) fino ai primi barlumi di moti risorgimentali, non poteva che essere oggetto di valutazioni critiche negative.

Di fatto però il nazionalismo italiano, tenendo ben presente la distinzione tra l’idea medievale di nazione, ancora presente in Machiavelli, e quella moderna , nasce e si sviluppa fin dai suoi principi nelle logge massoniche, diffondendosi poi nel mondo culturale in epoca illuministica e giacobina senza però riuscire mai a penetrare nel popolo . Non solo l’idea d’Italia era ignota al sensus communis ma finanche il concetto di nazione non trovava spazio nella mente di chi era abituato a ragionare nei termini, non contraddittori ma complementari, di universalismo (cattolico e imperiale) e localismo comunitario; la patria difesa dagli insorgenti antigiacobini non era una terra dai confini tracciati sulla carta, bensì la terra dei padri, la terra in cui erano nati e cresciuti e nella quale avevano affetti e rapporti umani reali .

I prodromi del nazionalismo italiano si ritrovano, a detta di molti studiosi, nell’articolo del capodistriano Gian Rinaldo Carli, iniziato alla massoneria, scritto per Il Caffè nel 1765 in forma anonima col titolo La patria degli italiani; in questo scritto il Carli, nella figura di un ignoto che entra in un Caffè, si lamenta con un avventore, Alcibiade, che lo ha definito “forestiero” in quanto non milanese, esclamando: “Un italiano in Italia non è mai forestiero”. E’ evidente che il Carli dava per scontato un’identità italiana che in realtà non esisteva, in quanto essa era tale solo a livello letterario, dato che la lingua letteraria accettata sin dal ‘500 era il fiorentino, e geografico, poichè la penisola italiana è racchiusa entro confini naturali; questa identità non era però assolutamente sostenuta dal popolo che si sentiva legato ai suoi legittimi sovrani, dunque ben distante da qualsiasi idea di unità politica italiana e per giunta non utilizzava assolutamente il fiorentino letterario il quale, d’altra parte, non era nemmeno quello parlato dagli abitanti di Firenze nel XVIII secolo. Proprio per questo i primi diffusori dell’idea di italianità furono letterati, solitamente massoni e illuministi; fa eccezione ad esempio il noto Giuseppe Carpani, successore del Metastasio come poeta di corte a Vienna, il quale pur non negando una certa idea di nazione italiana considerava, in virtù del suo attaccamento agli Asburgo, l’unità politica un processo assai pernicioso. Ad ogni modo lo scritto del Carli nascondeva anche quel processo di affratellamento fra le varie logge massoniche in suolo italiano che incominciarono a diffondere queste idee attraverso le loro migliori penne. Tale era il gesuita mantovano Saverio Bettinelli, iniziato probabilmente alla loggia cremonese “La concordia”, il quale scrivendo il Risorgimento d’Italia negli studi, nelle arti e nei costumi dopo il Mille (1775) oltre a inaugurare una visione storiografica nella quale l’età comunale era sentita, in maniera assolutamente anacronistica, come affrancamento italiano dalla tutela straniera, utilizzò, translandone il significato, un termine religioso destinato ad avere un grande successo .

Il vento della rivoluzione francese amplificò la tematica del nazionalismo italiano consentendo ai giacobini italiani, già ben diffusi, di uscire dai loro club clandestini, che spesso erano in stretta connessione con le logge; questi erano convinti che il Bonaparte avrebbe portato l’unificazione e l’indipendenza italiana sulla punta delle baionette: speranza invero malriposta considerando i veri obbiettivi dei francesi sulla penisola, sintetizzabili nell’espressione del membro del direttorio Lazare Carnot “un limone da spremere”. Nonostante ciò i giacobini ebbero per la prima volta l’occasione di venir fuori dalle loro asfittiche riunioni e proclamare i loro ideali ad alta voce: tra questi è eminente il concetto di nazione italiana e la volontà di creare una repubblica italiana; uno dei più attivi patrioti del triennio giacobino (1796-99) fu Matteo Galdi, iniziato alla massoneria napoletana dal celebre maestro Caracciolo ma fuggito a Genova, il quale vergò il suo pensiero nello scritto Sulla necessità di stabilire una repubblica in Italia(1796).

Ben presto le chimeriche aspettative giacobine furono deluse dalla dura realtà dei fatti, infatti il Direttorio francese non aveva alcuna intenzione di trattare le varie entità statuali italiane come repubbliche sorelle bensì come utili sottoposte: non a caso nella breve vita della Repubblica Cisalpina i generali francesi dovettero “correggere” le decisioni dei riottosi consigli con frequenti colpi di Stato. La traumatica disillusione costrinse i patrioti italiani a ritornare a tramare nell’ombra: nella Repubblica Cisalpina prese vita un’oscura associazione nota come Società dei Raggi, con sede a Bologna e a Milano, la quale, sfruttando una complicata onomastica astrologico-solare, si prefiggeva di combattere i francesi per fondare una repubblica italiana; per quanto non si possa negare una certa derivazione massonica, evidente anche dalla terminologia solare, la Società dei Raggi secondo F.M.Agnoli era “senza giuramenti, senza iniziazioni, senza simboli, senza quelle grottesche cerimonie che costituivano i misteri della setta massonica” . Nonostante fosse arrivata ad assommare 30.000 linee, cioè membri, la Società dei Raggi andò incontro ad una rapida decadenza a causa di divergenze politiche interne seguite alla fondazione della Repubblica Italiana (1802). Ben più duratura fu invece l’esperienza della Carboneria la quale travalicò il confine cronologico del periodo napoleonico per continuare la sua esistenza nell’età della Restaurazione, fino a traghettare l’ideale di unificazione italiana alla generazione che l’avrebbe effettivamente realizzata. Sebbene le origini della carboneria siano sostanzialmente arcane non pare possibile dubitare dell’evidente derivazione massonica di tale organizzazione; questo è peraltro confermato dallo storico massone Giuseppe La Farina che ne parla nella sua Storia d’Italia (1851), come “figliuola della framassoneria” mentre un rapporto della polizia austriaca del 1820 la cita come “ società […] semi-massonica, e popolare, composta cioè nella maggior parte da popolo minuto” . Anche Pio VII, condannando la Carboneria al pari della Massoneria con la bolla “Ecclesiam a Iesu Christo” (1821), non sembra trovare distinzioni di sorta tra le due società anzi affermò chiaramente come “i Carbonari pretendono, erroneamente, di non essere compresi nelle Costituzioni di Clemente XII e Benedetto XIV”, cioè le due precedenti condanne della Massoneria.

Proprio dalla carboneria all’inizio dell’800 fuoriuscirono alcuni documenti che possono lasciare intendere come l’opera di unificazione italiana non fosse una generosa esplosione di un presunto sentimento nazionale, ma il simulacro dietro cui nascondere i reali obbiettivi massonici: la distruzione della Chiesa e della società cristiana. Questi documenti sono un epistolario e la cosiddetta Istruzione permanente ; nella lettera dell’11 giugno 1829 Felice scrive a Nubio (nomi di battaglia dei due carbonari): “L’indipendenza e l’unità d’Italia sono chimere. Pure queste chimere producono un certo effetto sopra le masse e sopra la bollente gioventù. Noi, caro Nubio, noi sappiamo quello che valgono questi principi. Sono palloni vuoti”. Quale sarebbe ordunque il vero scopo della carboneria e del progettato moto di liberazione italiana? Ci risponde l’Istruzione permanente: “Il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della rivoluzione francese: cioè l’annichilimento completo del cattolicesimo […] Noi abbiamo intrapreso la fabbrica della corruzione alla grande. Questa corruzione deve condurci al seppellimento della Chiesa Cattolica”. C’è altro da aggiungere?



Davide Canavesi
tratto da: "Il Cinghiale corazzato", numero 24, luglio-agosto 2008

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