mercoledì 14 novembre 2007

La questione del federalismo

Posted on 11:06 PM by DF


di Gilberto Oneto

Poche altre idee come quella federalista sono state svillaneggiate e distorte. Dodici anni fa Marco Bassani, William Stewart e Alessandro Vitale hanno trovato e catalogato 407 tipi e versioni di federalismo nel panorama culturale e storico mondiale. Negli ultimissimi tempi l’italica inventiva ha allungato a dismisura l’elenco: sono comparse perle come il “federalismo solidale” o un improbabile “federalismo imperiale” attribuito niente di meno che a Julius Evola. Il federalismo è diventato una coperta di ogni colore, estendibile a piacere come le gambe di Tiramolla per coprire qualunque cosa. Così tutto è federalismo (anche il contrario del federalismo) in questo straordinario Bel Paese in cui mafiosi siedono in Commissioni anti-mafia, i processi si tengono sui rotocalchi e i “buoni” sono sempre più spesso i cattivi. Qui tutti sono federalisti, anche Gianfranco Fini e Agazio Loiero in un perpetuo carnevale in cui si rovesciano ruoli e valori. Si dirà che tutto questo fa parte di una antica italica vocazione alla non serietà, al trasformismo, alla recita a soggetto, alla sceneggiata partenopea, al “Franza o Spagna purchè se magna” applicato alle architetture istituzionali, all’istinto di sopravvivenza di una casta di parassiti che si adatta a tutte le variazioni climatiche pur di restare aggrappata al suo posto. In larga parte è così ma c’è di peggio. C’è anche il lucido disegno di dipingere il federalismo per quello che non è, ovvero di chiamare federalismo delle schifezze che ne sono spesso l’esatto opposto.


Quello di descrivere l’avversario in negativo attribuendogli le peggiori nefandezze è un gioco cui si dilettano da sempre i potenti, lo ha fatto Nerone con i cristiani, Hitler con gli ebrei; c’è chi si è travestito da pellerossa o da bombarolo sudtirolese per far cadere sull’avversario turpi responsabilità. Oggi la gente chiede federalismo: cosa c’è di meglio che dare loro la peggiore pattumiera chiamandola federalismo? È ovvio che la gente riterrà il federalismo nocivo e lo rifiuterà. Sono diabolici: hanno fatto le Regioni come fotocopie dei vizi dello Stato centrale e hanno fregato i regionalisti, si sono inventati l’ICI e cento altre gabelle locali (in aggiunta e non in sostituzione di quelle centrali) per “sistemare” chi chiedeva autonomia impositiva, hanno moltiplicato i centri di potere e di spesa (comprensori, province, comunità montane, città metropolitane e altro ciarpame) per inchiappettare chi chiedeva autonomie. Ovvero: volevate il federalismo? Adesso ve lo grattate! Perchè – ci raccontano – il federalismo non è più libertà e meno tasse ma l’esatto opposto. Alla faccia di Jefferson, Cattaneo e Miglio. Che questo giochino lo facciano legioni di trafficoni e di politicanti è umanamente capibile ma che ci si mettano anche persone intelligenti e colte come Giovanni Sartori sulla prima pagina del “Corriere” è molto più preoccupante. Uno come lui non può non sapere che il federalismo vero è un’altra cosa, che non è il pascolo della casta ma la sua fine. Non può non sapere che i più bassi livelli di tassazione e i più alti livelli di efficienza amministrativa, di autonomia e di libertà si trovano proprio nei paesi federali. Non ci sono mafie in Germania, e non c’è la casta in Svizzera o Canada. E se c’è qualcosa che può lontanamente somigliarle non vive in ogni caso con i soldi dei contribuenti. Il federalismo è il contrario dello spreco: solo in uno Stato centralista ed accentratore sopravvivono parassiti, burocrati e satrapi nascondendosi dietro i grandi numeri e l’anonimato del potere.


Nelle realtà davvero federali li si conosce uno ad uno, e i cittadini pagano per le spese che si sono decise e ne controllano la destinazione come in un condominio. È nei grandi silos che prosperano pantegane e scarafaggi: nelle piccole dispense li si schiaccia uno a uno. Proporre sovrapposizione fra corruzione e federalismo, fra la Casta e l’autonomismo? Andiamo professor Sartori, non è da lei. La corruzione è diventata normale pane quotidiano di questa penisola da quando è diventata uno Stato accentrato: è figlia di Liborio Romano, Crispi, Giolitti e dei loro nipotini. La casta è figlia di Mazzini e Garibaldi, dei Savoia, del fascismo e dell’antifascismo, dispensatori di pensioni e prebende. La Casta ha bisogno per sopravvivere di moltiplicare gli uffici e le cadreghe, non di ridurli al minimo e metterli sotto il controllo della gente. Avessero prevalso Cattaneo e Ferrari molti più italiani avrebbero conosciuto le gioie del lavoro. Che frotte di parassiti e mantenuti terrorizzati dal federalismo cerchino di trasformarlo in altro è comprensibile. Di fronte alla prospettiva di perdere pane e companatico si adattano a tutto fino a – come a scritto Samuel Johnson – cantare inni e avvolgersi in vessilli patriottici. Se gli tocca di essere cattolici o buddisti, questi fanno finta di esserlo mettendo in vacca il buon Gesù e il Gautoma Buddha. Se devono fare i fascisti, i comunisti lo fanno (lo hanno sempre fatto) senza arrossire, sputtanando falci, fasci littori e martelli. Se gli tocca fare i federalisti, lo fanno semplicemente battezzando federalismo il suo esatto contrario. Che lo facciano costoro possiamo capirlo, ma che lo faccia gente come Sartori non ci quadra. Non ha bisogno di questo ambaradan per essere quello che è. La sua non è una presa di posizione di sopravvivenza, non è di pancia ma di cervello: è ideologica. Questo è ancora più preoccupante.

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