Svizzera dopo le elezioni
“La mia casa. La nostra Svizzera”: è questo lo slogan che ha accompagnato la campagna elettorale di Cristoph Blocher, il leader dell’Udc che la nostra stampa ha liquidato come xenofobo e ultranazionalista; ora che dalle urne è emersa una Svizzera sempre più rossocrociata, una Svizzera che saprà fare della propria identità federalista la carta vincente per competere nel mondo globalizzato, la Confederazione potrebbe presto diventare un esempio prezioso di federalismo fiscale costruito sulla concorrenza, uno dei pilastri identitari di questo Paese che ha saputo costruirsi sulla diversità e sulla volontà delle sue genti. Il nuovo modello fiscale introdotto dal Cantone Obvaldo (con un’imposta decrescente per i redditi superiori a 300.000 franchi svizzeri e i patrimoni oltre i 5 milioni di franchi e un’imposta fissa del 6,6% sugli utili delle società) ha fatto sì che il tema della concorrenza fiscale tra i Cantoni tornasse a essere un elemento centrale anche nella discussione politica, in grado di animare la recente campagna elettorale. Proprio Cristoph Blocher, il consigliere federale e leader dell’Udc, lo scorso 4 aprile 2007, in occasione di un incontro informativo a Oberengstringen, ha ricordato che: “La concorrenza fiscale illustra in modo evidente i punti forti del sistema svizzero. Il federalismo permette la concorrenza fiscale tra i Cantoni, poiché non conosciamo alcuna unificazione. Il federalismo offre la possibilità di scegliere. I cittadini possono dare un’occhiata a circa 3000 Comuni svizzeri e scegliere di conseguenza il loro domicilio.”
Benché la pressione fiscale non sia certo l’unico criterio di scelta, le aliquote sono e restano un fattore importante. In Svizzera la concorrenza è l’anima del federalismo fiscale; senza l’autonomia impositiva e di riscossione di cui godono i 26 Cantoni e i circa 2800 Comuni, la Confederazione elvetica non sarebbe una Confederazione. E’ la Costituzione (art. 3) stessa a ribadire la natura federale del sistema fiscale svizzero; i Cantoni, infatti, sono sovrani “per quanto la loro sovranità non sia limitata dalla Costituzione federale ed esercitano tutti i diritti non delegati dalla Confederazione.”; il che significa che la Confederazione può riscuotere solo le imposte che le sono attribuite dalla Costituzione, mentre i Cantoni sono liberi di scegliere le proprie imposte, a meno che la Costituzione non vieti loro certe imposte o le conferisca alla Confederazione.C’è di più: in Svizzera lo Stato può imporre al cittadino solo gli obblighi, imposte comprese, previsti dalla Costituzione e dalla legge; qualunque richiesta diversa richiede un referendum obbligatorio o facoltativo.
La flat tax di Obvaldo (primo Cantone a optare per questa possibilità), effettiva dal 2008, sta orientando il dibattito sulla riforma fiscale nei Cantoni. Lo scorso 12 ottobre, per esempio, il presidente della Camera di Commercio del Canton Ticino, Franco Ambrosetti, nel suo discorso in occasione della 90° assemblea annuale, ha evocato la flat tax come possibile soluzione per far crescere la competitività. Ad Ambrosetti ha risposto nella medesima sede Laura Sadis, direttrice del Dipartimento finanze ed economia (Dfe). Secondo l’On. Sadis un’imposta sul reddito con aliquota unica, da sola, non è capace di assicurare la semplificazione (anche amministrativa) del sistema fiscale ticinese; comporta inoltre effetti redistributivi a sfavore delle classi di reddito basse e modeste da correggere con l’esenzione di alcuni importi o l’introduzione di deduzioni specifiche. Citando il rapporto del Professor Keuschnigg dell’Università di San Gallo in cui sono stati valutati gli effetti sulla crescita economica, sulla creazione di capitale di rischio, sull’impiego, sui salari, sul consumo privato, sul patrimonio finanziario e sul rendimento della sostanza investita dei vari sistemi fiscali, tra cui la flat tax, Laura Sadis fa osservare come, in virtù della natura fortemente progressiva dell’imposta federale diretta, un’aliquota proporzionale unica sgraverebbe i redditi alti, gravando però sui medi e bassi, che si vedrebbero ridotto il proprio potenziale di risparmio. D’accordo o meno con questa posizione, l’aspetto interessante è la presenza di un acceso dialogo su un tema che è all’ordine del giorno dei paesi più sviluppati, mentre resta del tutto marginale nel nostro paese.
Dopo la giornata milanese dello scorso 29 settembre, promossa da decidere.net, la flat tax è tornata a essere argomento tabù. Eppure, come scrive Alvin Rabushka (con Robert E.Hall autore delle idee fondanti di questo sistema fiscale) nell’Occasional Paper dell’Istituto Bruno Leoni, la flat tax è “un sistema di tassazione in cui a ogni contribuente, che si tratti di persona fisica o di un’azienda, viene applicata una sola aliquota di imposta, indipendentemente dal livello di reddito e dalla fonte di quest’ultimo. (…) Essa ha lo scopo di aumentare la libertà individuale, permettendo a ciascun individuo di conservare una quantità maggiore di ciò che guadagna.” Si basa sul fatto che gli incentivi individuali sono importanti per stimolare crescita e cambiamento. Le aliquote fiscali elevate, infatti, disincentivino il lavoro, l’investimento e il risparmio, mentre aliquote ridotte spingono a lavorare, a risparmiare, a investire lasciando a colui che produce una buona parte del frutto del proprio lavoro. La flat tax, in particolare, è efficiente, perché riduce al minimo la distorsione dei prezzi e del mercato; è equa, perché ciascuno contribuisce in pari percentuale; è semplice, perché è facile da capire e da applicare.